"La Pasqua in Umbria ... e non solo" is an home teaching project kindly shared by the students of III CC with the help of Teacher Ascani, Letizia and Morena. It is a very interesting research job about the culinary traditions in Umbria and in the Tiber Valley, that shows how sacrality is often linked with the ritual of food and symbols.
It also marks out the common roots between food and territory.
The students also shared precious recipes form their family traditions.
Last but not least, they translated the recipes into English as the result of the Blog, "Cooks in Quarantine".
LA PASQUA IN UMBRIA E NON SOLO……
ED USANZE
Progetto di Didattica a Distanza
Classe IIICC Enogastronomia
CON LA COLLABORAZIONE DELLE ASSISTENTI TECNICO LETIZIA PERIOLI E MORENA DELGAIA
VALTIBERINA, TERRA DI SAPERI E SAPORI
Come per tutte le zone che, situate ai confini di varie regioni, sono aperte agli influssi di
costume più diversi, la terra Valtiberina fra Umbria e Toscana esprime una gamma assai variegata di gusti e di tradizioni gastronomiche.
La tradizione del “mangiar bene e sano” è tuttora intatta ed è possibile trovare
ristoranti e trattorie che ancora cucinano alla maniera delle vecchie massaie.
Il vantaggio di mangiare in Valtiberina è dato, non soltanto dal piatto, ma anche e
soprattutto dagli ingredienti del posto, freschi e genuini che permettono di preparare
una larga varietà di ricette tipiche e gustose.
L'avvicinarsi della Pasqua comincia a sentirsi anche solo passeggiando per i borghi della Valtiberina, da forni, pastifici e case si diffondono intensi profumi di dolci preparati ancora secondo antiche ricette e alla maniera delle nostre nonne.
In Alta Valle del Tevere la tradizione vuole che il giorno di Pasqua le famiglie si riuniscano per la colazione e consumino delizie preparate in casa, tra cui non mancano la Torta al Formaggio o Crostello, il Pangiallo, la Ciaramiglia , i Biscotti Quaresimali (più tipici della Toscana) e la Chioccia dolce con l’uovo benedetto.
La colazione del giorno di Pasqua a Città di Castello e dintorni è un vero e proprio rito da consumare in famiglia all'insegna della buona cucina e della genuinità.
LA TORTA DI PASQUA IN UMBRIA
L’antica preparazione delle torte di Pasqua, che in Umbria hanno due varianti principali, quella dolce e quella salata, rappresenta uno spaccato di festa e convivialità tipicamente locale. La tradizione ad essa legata, che potrebbe essere definita anche ritualità, è estremamente ricca, interessante e conoscerla può rappresentare un’occasione per apprezzare il contesto storico e territoriale in cui si colloca. La torta di Pasqua merita di essere conosciuta anche perché, pur a vendo dei tratti comuni, presenta una molteplicità di varianti, nelle proporzioni e/o negli ingredienti. Le famiglie umbre manifestano un grande fermento, per reperire i migliori ingredienti, anche quelli da abbinare nella degustazione della torta (per esempio i nostri salumi) il cui momento principe è la tradizionale colazione di Pasqua, con un tripudio di profumi, sapori e colori sulle nostre tavole. L’origine della torta al formaggio è di certo assai remota. La mefa spefa degli antichi umbri, che già conoscevano l’arte della lievitazione, è sorprendentemente vicina alla torta al formaggio che ancora prepariamo a Pasqua: farina, uova, latte, formaggio,sale. Ingredienti che troviamo nelle nostre torte si trovavano in pani dell’antica Roma, uno per tutti la ricetta che Catone riporta nel De Agricoltura, un filone di pane con uova e formaggio nell’impasto, cotto su uno strato di foglie di alloro, che assomiglia in modo sorprendente a una torta che molti anziani ancora preparano. Le nostre torte di Pasqua al formaggio, che a voler usare la definizione esatta sono pani festivi conditi, sono le discendenti e la trasformazione in cibo legato a una ricorrenza religiosa, di quei pani.
La Torta di Pasqua nell’Umbria Contadina
L a mattina di Pasqua le torte venivano poste sulla tavola, bene in ordine, o in allegra confusione, insieme agli altri cibi che costituivano la ricca prima colazione pasquale, un lungo pasto che avveniva tra le 11 e le 13, rigorosamente dopo aver adempiuto ai riti religiosi. Tutto si consumava secondo una successione non ben precisa, non codificata. Alla torta si accompagnavano capocollo, salame, a seconda delle zone, ma anche uova sode, frittate, coratella vino e vinsanto. I salumi si consumavano in alcune zone con la torta al formaggio, in altre con quella dolce, in armonia o in un felice contrasto di sapori e di aromi. Spesso la prima portata del pranzo pasquale consisteva in fette di torta al formaggio sulle quali veniva versato brodo di castrato. Le torte venivano preparate in grande quantità, anche “100 uova”, quindi impastando almeno 10 chili di farina. La preparazione era un vero rito, la raccolta delle uova iniziava molti giorni prima, venivano poste in ceste e tenute al fresco in cantina. La lavorazione delle torte coinvolgeva anche gli uominiin quanto veniva lavorata in quantità enorme di ingredienti. Le torte servivano per l’uso di famiglia, per farne dono a parenti, amici e autorità, spesso se ne conservava una scorta fino all’Ascensione ed oltre. Anche la cottura al forno era un rito collettivo sia nei forni privati, in genere esterni alle case, dove talvolta si riunivano per la cottura più famiglie, sia in quelli collettivi o comunali, che fino agli anni ’50-60 erano attivi in quasi tutti i borghi.Ma anche i fornai di Città ospitavano, dietro un piccolo compenso, le teglie delle massaie. Nei giorni immediatamente precedenti la pasqua era un via vai di gente con recipienti pieni di torte, contrassegnati in modo che ognuno potesse riconoscere subito le proprie, che impregnavano del loro profumo tutte le strade. La cottura nei forni collettivi dei borghi o nelle casecontadine era dunque un rito generale, in cui tutta la famiglia, a volte più famiglie, partecipavano. Ancora, chi ha vissuto quest’esperienza, ricorda le voci di finestra in finestra, per aggiornarsi sull’andamento della lievitazione, che doveva giungere nello stesso momento, aiutata, se necessario, da mille piccoli trucchi. Ma vi era tutto un susseguirsi di usi, nella preparazione, che di zona in zona assumeva sfumature diverse.
La tavola coperta con una tovaglia bianca e allestita con tutti i cibi della colazione delle famiglie contadine, predisposta per accogliere tutto il giorno della festa amici, parenti e vicini, se ne è svanita lentamente dagli anni ’60 in poi, insieme al mondo che lha creata, ma molte famiglie osservano ancora questa vecchia tradizione.
Le ricette
Un particolare che si trova in tutte le vecchie ricette, tramandate di madre in figlia, è che l’unità di misura è sempre l’uovo. Ad un uovo corrispondeva la quantità di sale o altro. Invece, la farina non è mai indicata a peso, ma si spiega che deve essere in quantità sufficiente a dare all’impasto la giusta consistenza.
Ricordando che le ricette delle torte di Pasqua hanno molte varianti, si riportano le ricette più comunemente usate nel territorio, che possono facilmente essere riprodotte nelle cucine casalinghe.
TORTA DI PASQUA CON IL FORMAGGIO
Ingredienti per 2 torte
8 uova
800g di farina tipo 0
150g di formaggio fatto a pezzetti (pecorino non troppo duro e gruviere)
300g di formaggio grattugiato (misto parmigiano e pecorino romano)
130g di strutto (di cui 30 per ungele le toriere)
4 cucchiai di olio extra vergine di oliva
100g di lievito di birra
¼ di litro di latte
Sale,pepe
V ersate la farina in una spianatoia e fate una fontana, unite le uova sbattute, il formaggio, il sale il pepe e l’olio. Fate sciogliere 100g di strutto e il lievio nel latte e unite anch’essi. Lavorate fino a quando l’ipasto non si stacherà dalle mani, quindi ungete con lo strutto rimasto due recipienti alti e versatevi l’impasto, le teglie dovranno risultare piene a metà. Fate lievitare un ora e mezza in un luogo caldo dopo aver coperto i tegami con una coperta e aver posto accanto un recipiente con dell’acqua calda. Controllate ogni 20 minuti l’andamento della lievitazione sollevando un angolo del telo. Quando l’impasto avrà raggiunto i bordi della tortiera ponete in forno presiscaldato (facendo attenzione a non scuotere i tegami) per 15’ a 200° poi abbassate a 180° e fate cuocere altri 20 minuti. Acottura ultimata aspettate qualche minuto prima di togliere le torte dal forno, poi toglietele dal recipiente di cottura e ponetele a raffreddare in una griglia.
Quello delle torte di pasqua è un mondo complesso di ricette, talvolta con radici antichissime, talvolta con nuove varianti, che non segnao la fine di un cibo ma anzi ne sottolineano la vitalità.
LE UOVA SODE
L’uovo è da sempre simbolo di vita, di rinascita e di sacralità, non c’è da sorprendersi dunque se nell’accezione cristiana rappresenta la resurrezione di Gesù. Oggi le uova sono di cioccolato, ma un tempo l’usanza era quella di regalare delle uova di gallina, meglio ancora se decorate. Era in uso all’epoca di Persiani, Egizi, Greci, ma non solo, il significato simbolico delle uova era ampiamente riconosciuto praticamente ovunque, con peculiarità che variavano da luogo a luogo, da civiltà a civiltà. Il guscio rigido e poroso viene assimilato in un’ottica cristiana al sepolcro, all’interno del quale Cristo rinasce. Nel Medioevo l’usanza di scambiarsi delle uova di gallina decorate assume una nuova connotazione: si iniziano infatti a produrre uova con materiali diversi oppure rivestite in argento, oro o platino.
LA FRITTATA
La frittata pasquale è preparata con verdure di primavera e erbe aromatiche, meglio se raccolte passeggiando in campagna. E’ un piatto tipico della cucina umbra tradizionalmente preparato per la colazione di Pasqua. Si utilizzano carciofi, cicoria selvatica, asparagi selvatici e poi tante erbe aromatiche .
Ingredienti
4 uova
50 g di cicoria
1 carciofo
3-4 asparagi (60 g circa)
10 g di borragine
50 g di salsiccia
Un rametto di rosmarino
5-6 foglioline di prezzemolo
4 foglie di salvia
4-5 fili di erba cipollina
Un rametto di maggiorana
8-10 foglioline di mentuccia
6 foglie di menta
Un rametto di finocchietto selvatico
Uno spicchio d’aglio (se trovate l’aglietto fresco meglio ancora)
Olio extravergine d’oliva
Sale
Pepe
Preparazione
Togliete le foglie più esterne e dure al carciofo, tagliate la punta delle foglie, spaccate a metà e se c’è, eliminate la peluria interna, tuffate in acqua bollente per 8-10 minuti, scolate tagliate a fettine e tenete da parte.
Eliminate le radici e le foglie rovinate alla cicoria, lavate e fate lessare in acqua bollente per 10 minuti, scolate, tagliate grossolanamente e tenete da parte.
Eliminate la parte dura agli asparagi, lavateli e fateli cuocere in acqua bollente per 5-6 minuti, scolate tagliate a pezzetti e tenete da parte.
In una padella fate soffriggere l’aglio, tritato finemente, con un paio di cucchiai d’olio, unite la salciccia sbriciolata e fate rosolare per 5 minuti.
Aggiungete le verdure lessate, la borragine tritata e fate insaporire cuocere per 10 minuti, salate leggermente, fate intiepidire.
In una ciotola battete leggermente le uova, unite le erbe aromatiche tritate, sale e pepe, unite le verdure.
In una padella da 24 cm fate scaldare 2 cucchiai d’olio e versate il composto di uovo e verdure, fate cuocere finché la parte sotto non sarà rappresa, girate la frittata e fate cuocere anche dall’altro lato.
PANGIALLO
Il Pangiallo, è cosi chiamato perchè grazie all'uso dello zafferano questo pane assume un bel colore giallo. Non è un pane dolce ma l'uvetta gli conferisce quel sapore dolciastro ma che si abbina benissimo ai salumi, ai formaggi o alle uova.
L a dose è per circa 2 pagnotte da 1kg.
Ingredienti
500 gr. farina “0”
500 gr. “manitoba”
1 uovo
1 00 gr. lardo o strutto
1,5 gr. zafferano
Sale
pepe (se possibile macinato al momento)
q.b. olio evo
q.b. acqua
1 cubetto di lievito di birra
uvetta ( 2 bustine da 250g)
Procedimento
Mettere in ammollo in 1 bicchiere di acqua tiepida lo zafferano.
Ammollare anche l'uvetta in acqua tiepida.
Tritare molto finemente il lardo e farlo sciogliere in un pentolino a fuoco molto basso.
Nella spianatoia, fare la fontana di farina con l'uovo e iniziare ad amalgamare.
Aggiungere poi il lardo o strutto sciolto e lo zafferano con tutta la sua acqua e mescolare.
Sciogliere il lievito di birra con un po' di acqua tiepida e aggiungere anche questo. Amalgamare bene.
Aggiungere anche l'uvetta ben strizzata.
Mettere una bella manciata di sale e altrettanto di pepe.
Aggiungere anche l'olio di oliva, circa mezzo bicchiere. Se vedete che l'impasto ancora è molto sodo aggiungere acqua tiepida tanta fino a che l'impasto non avrò assunto la consistenza dell'impasto della pizza.
Se vogliamo un impasto molto friabile mettere più olio evo.
A questo punto pesare l'impasto e dividerlo in 2 pagnotte di peso più o meno uguale.
Mettere a lievitare in due ciotole separate, coperte con un canovaccio inumidito, fino al raddoppio. Circa 1 ora.
Trascorso questo tempo, riprendere le pagnotte e impastare di nuovo per 1 minuto. Dargli la forma rotonda e fare 1 taglio a croce su ciascun pagnotta. Metterle a lievitare in due teglie separate, che avrete oleato.
Far lievitare coperte per 30-40 minuti.
Passato questo tempo cuocere in forno ventilato a 170°C fino a che non saranno cotte, circa 1 ora.
COLOMBA SALATA
Ingredienti
3 uova a temperatura ambiente
125 g yogurt bianco (intero o magro)
100 g di latte
100 g olio di semi di arachidi o preferito
300 g di farina 00 o di tipo 1
1 bustina di lievito istantaneo per torte salate
2 cucchiai di parmigiano reggiano
1 cucchiaio di pecorino romano
150 g di provolone o scamorza
100 g di prosciutto cotto
150 g di salame e pancetta dolce
sale q.b.
pepe q.b.
Per Decorare
1 cucchiaio di albume
50 g di mandorle
sale
Procedimento
1: In una ciotola mescolate le uova con una frusta a mano. Aggiungete lo yogurt, il latte, l'olio. Unite la farina, il lievito setacciato e mescolate bene.
2: Aggiungete il provolone ed i salumi ridotti a cubetti lasciandoli alcuni da parte per la decorazione finale. Unite anche i formaggi grattugiati, profumate con il pepe e unite giusto un pizzico di sale. In una ciotolina sbattete leggermente con una forchetta 1 cucchiaio di albume d'uovo, aggiungete le mandorle e mescolate bene.
3: Versate l'impasto, in uno stampo da colomba da 750 g oppure stampo da 22 cm. Mettete sopra i salumi e provolone tenuti da parte, aggiungete le mandorle, salate le mandorle leggermente con sale in scaglie (tipo) oppure pochissimo sale fino. Fate cuocere in forno preriscaldato a 180° funzione statico per circa 45 minuti, fate sempre la prova stecchino prima di sfornare, deve uscire asciutto. Fate raffreddare e servite.
CORATELLA D’AGNELLO
Il termine “coratella” indica generalmente le parti commestibili delle interiora degli animali di piccola taglia (agnello, coniglio, pollame…) e discende direttamente da “corata”, parola dotata del medesimo significato ma relativa ai corrispettivi di taglia maggiore.
Esse vengono utilizzate in numerosissime ricette, specialmente nelle tradizioni regionali italiane; con questo nome si identifica tuttavia più frequentemente proprio la specialità tipica dell’Umbria, nonché quella altrettanto rinomata della tradizione romana, che prevedono l’utilizzo di carne di agnello giovane.
Scarto che viene nobilitato dalla cucina dell’urgenza: la cucina dei poveri. Ed è proprio a Roma, patria del quinto quarto, che nasce questa tradizione di cucina povera, all’ombra del mattatoio di Testaccio dove i "vaccinari", cioè gli operai addetti al taglio dell’animale, erano pagati in natura con quel che restava dopo la vendita delle parti nobili, cioè il quinto quarto. E grazie all’estro delle donne e, in seguito, delle cuoche delle osterie capitoline, sono pervenute a noi queste pietanze eccezionali e senza dubbio fortemente creative.
Evoluzioni della Coratella
Nata come pietanza pasquale, la Coratella è oggi consumata in tutte le stagioni ed è apprezzata sia per il sapore inconfondibile che per le numerose varianti elaborate nel corso dei decenni. Nei tempi andati difatti il periodo pasquale coincideva con quello del ritorno dei greggi ovini dalla transumanza; le parti interiori degli agnelli costituivano dunque la base dei pasti tipici dello strato più povero della popolazione.
Ingredienti:
1 kg di coratella (polmoni, milza, cuore, fegato)
1 spicchio d’aglio
1 cipolla
200 g vino bianco
4 cucchiai di olio evo
1 rametto di rosmarino
2 foglie di alloro
q.b. sale e pepe
Procedimento:
Lavare bene polmoni, milza, fegato, sotto il getto d’acqua; tagliare la carne in piccoli pezzi circa di 2/3 cm; fare il soffritto e dopo 30 secondi aggiungere l’aglio, poi aggiungere i polmoni e lasciarli cuocere 5 min; aggiungere il cuore, l’alloro e sfumare con il vino, cuocere per 15 min; aggiungere fegato e milza per altri 5 min; insaporire con il rosmarino e aggiustare di sale;
Prima di servire togliere le erbe aromatiche.
AGNELLO AL TARTUFO
ORIGINI DEL CONSUMO DELL’AGNELLO A PASQUA
Nell’Antico Testamento
Ma perché, a Pasqua, si mangia proprio l’agnello e quali sono i significati che si nascondono dietro questo rituale? L’agnello, per la religione cristiana e ancor prima per quella ebraica, è il simbolo di sacrificio per eccellenza, e come tale più volte compare nell’Antico Testamento. Come nel libro dell’Esodo (Esodo, 12, 1-9), quando a proposito della Pasqua ebraica Dio disse a Mosè e Aronne: “Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa”. E poi ancora: “In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere”.
Simbolo di innocenza
Nell’area mediterranea l’agnello è considerato da sempre come il simbolo del candore e della fragilità della vita, soprattutto per le popolazioni seminomadi come quella ebraica. Con l’offerta di un agnello il credente donava a Dio ciò che aveva di più bello, puro e prezioso, come se offrisse sé stesso, in maniera non dissimile dall’ariete che Dio farà trovare ad Abramo dopo la terribile prova del sacrificio di Isacco (Genesi, 22, 1-18).
Giovanni Battista
Nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista accoglie così Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”, prefigurandone il ruolo sacrificale per la redenzione dell’umanità. Proprio “come agnello condotto al macello”, come profetizzava Isaia (Isaia, 53,7).
La svolta
Tuttavia, nei Vangeli e nel messaggio di Gesù Cristo non c’è traccia dell’ossessione per i sacrifici rituali, così frequenti invece nell’Antico Testamento. L’Agnello era Gesù stesso. Quindi molti credenti sostengono tuttora che mangiare l’agnello a Pasqua non sia affatto una tradizione cristiana. Già durante il dibattito di Laodicea (165) sulla Pasqua, si disse che il vero sacrificio era stato compiuto con Cristo, e che quello pasquale dell’agnello propugnato dagli Ebrei convertiti non aveva ormai più senso. Una cesura sottolineata nel 2007 anche dal Papa Benedetto XVI: “Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio”.
Il passaggio
Per i cristiani scompare dunque il rito sacrificale, ma non la tradizione, il consumo e un diverso significato simbolico e teologico dell’agnello. Anche se questo viene incorporato nei rituali pasquali in una forma più blanda e “pagana” rispetto all’ebraismo, un passaggio probabilmente avvenuto sotto l’imperatore romano Costantino. La tradizione si è mantenuta viva giungendo fino a noi, in particolare nelle zone maggiormente dedite alla pastorizia come il Centro-Sud. In generale, cibarsi del prezioso agnello durante la Pasqua (al pari del maiale a Natale, che però non ha certo un significato teologico così marcato) era una delle poche occasioni per rimpinguarsi di carne di prima qualità. Un lusso per pochi, durante il resto dell’anno.
Ingredienti per 4 persone
1 kg Agnello
2 spicchi Aglio
Tartufo nero
½ bicchiere Vino bianco
2 rametti di Rosmarino
Noce moscata quanto basta
olio
sale e pepe
Procedimento:
Versare sufficiente olio in una casseruola, aggiungere un rametto di rosmarino e due spicchi di aglio. Fare insaporire, aggiungete la carne e lasciarla rosolare su tutti i lati. Sfumare con il vino; sale, pepe e noce moscata
Proseguire la cottura per circa 1 ora (coperto), aggiungere il brodo se occorre. Dopo 1 ora togliere il coperchio e proseguire la cottura 20 minuti circa. A fine cottura la carne deve risultare tenera e ben rosolata, se necessario far restringere il fondo di cottura. Completare con il tartufo grattugiato
SCHIACCIATA DI PATATE
Ingredienti:
200 g di farina
350 ml di acqua
350 g di patate
50 ml di olio extravergine d'oliva
1 cucchiaino
Rosmarino
Procedimento
Mettete in una ciotola l’acqua, l’olio extravergine di oliva e il sale e mescolate.
Inizate ad aggiungere la farina a poco a poco mescolando con una frusta a mano velocemente in modo che non si creino grumi fino a che otterrete una pastella liscia.
Pelate le patate e tagliatele a fette sottilissime con la mandolina (se non la avete potete anche affettarle con un coltello ma devono essere molto molto sottili).
Unite le fette di patate alla pastella e mescolate.
Versate il composto sulla leccarda del forno coperta da carta forno e livellate bene la superficie.
Aggiungete il rosmarino e cuocete in forno preriscaldato a 200° per 30/40 minuti circa fino a che vedrete che la superficie sarà dorata.
Sfornate la schiacciata di patate e spennellatela con olio extravergine di oliva mentre è ancora calda.
ROAST BEEF ALL’INGLESE
Il Roast beef all’inglese è una ricetta che, come si intuisce dal suo nome, ha origini anglosassoni. Il termine inglese roast beef significa letteralmente manzo arrostito e nella tradizione inglese veniva preparato allo spiedo utilizzando l’intera lombata di bue, per questo si considerava una portata adatta alle grandi occasioni e alle grandi feste che caratterizzano in calendario. Solitamente viene servito come piatto principale e gli avanzi sono perfetti per farcire panini squisiti.
Oggi il Roast beef ha perso la sua valenza di celebrativa, si prepara in modo più semplice e casalingo al forno e utilizzando pezzi meno pregiati, in questo modo è diventata una preparazione adatta anche alla tavola di tutti i giorni.
La diffusione di questo secondo piatto in Italia risale alla prima metà dell’800, sembra sia arrivato in Italia portato da Mazzini
Ingredienti
2 kg lombata di vitellone
Q.b. olio extravergine d’oliva
Salvia
Aglio
Vino bianco
Sale
Procedimento
Rimuovere il grasso in eccesso dalla carne , rosolare in una padella con 5 cucchiai d’olio caldo a fiamma alta , rosolate il tutto per circa 8 minuti.
Bagnare con mezzo bicchiere di vino senza versarlo sulla carne , fate saltare , mettere in una teglia con uno spicchio di aglio , salvia e rosmarino , infornare a 180 gradi per un ora.
Sfornata la carne fatela riposare per 20 minuti coperta da un foglio d’alluminio.
Tagliare e servire.
TORTA DOLCE DI PASQUA
Ingredienti per 2 torte
8 uova
400g di zucchero
100g di uvetta
200g di cedro e ciliegie candite a pezzetti
1 limone
1 arancia
½ bicchiere di rosolio di cannella
1 bicchiere di latte
100g di strutto
100g di lievito di birra
1 kg e 200g di farina tipo 00
Strutto per ungere il tegame
Rompete le uova, ponete i tuorli in una terrina e mettete da parte le chiare. Unite ai tuorli lo zucchero e lavorate fino a che il volume non è raddoppiato, unite l’uvetta, i canditi, il succo e la scorza grattugiata di limone a arancia, il rosolio e mescolate bene. Aggiungete in ultimo le chiare montate a neve. Fate sciogliere lo strutto nel latte caldo, e quando sarà diventato tiepido, unite anche il lievito. Versate la farina fontana, unite il latte nel quale avete sciolto strutto. Iniziate a lavorare partendo dall’interno, aggiungetenquindi le uova che avete lavorato in precedenza.Dovrete ottenere un impasto non troppo denso. Coprite il recipiente con un telo e fate lievitare in un luogo caldo per 30 minuti.Ungete con lo strutto 2 tegami alti. Riprendete limpasto e lavoratelo ancora per 5 minuti, quindi versatelo nei tegami unti di strutto riempendoli a metà. Fate lievitare in un luogo caldo dopo aver cperto i tegami con una tovaglia e posto accanto dell’acqua calda. Quando l’impsto avrà raggiunto il bordo dei tegami (dopo circa 1 ora e un quarto), ponete in forno preriscaldato a 190° per 20 minuti e per altri 20 minuti abbassate a 170°. Togliete dal forno e dopo 2-3 minuti staccate dal tegame, mettete a raffreddare le torte sopra una griglia
LA CIARAMICOLA
La Ciaramicola è una torta tipica umbra a forma di ciambella, di colore rosso, coperta di glassa bianca e impreziosita di confettini blu, verdi e gialli. Al centro del dolce, ossia nel buco, sono inseriti due bastoncini, fatti con la stessa pasta, disposti a croce, come segno di benedizione.
STORIA DELLA CIARAMICOLA
Sebbene non ci siano notizie precise riguardo alla sua origine, la Ciaramicola è un dolce dalla storia secolare, che era già presente a Perugia e nei borghi vicini nel XV secolo: in un testo di cucina umbro del tardo Medioevo si racconta che nel 1431 il camerlengo – l’amministratore dei beni della città – di Gubbio stanziò del denaro per offrire ai cittadini una specialità chiamata Ciaramigola, in occasione della festa di Sant’Ubaldo del 15 maggio.
Il suo aspetto, poi, è carico di significato: la meringa, infatti, viene distribuita sulla ciambella in modo da formare cinque ‘collinette’ che simboleggiano i rioni storici di Perugia – Porta Sole, Porta Sant’Angelo, Porta Susanna, Porta Eburnea e Porta San Pietro –, costruiti in epoca medievale; al centro dei cinque rilievi c’è una croce, che richiama Piazza IV Novembre, la più importante della città, con la Fontana Maggiore. Neppure i colori sono casuali: il rosso dato dall’alchermes e il bianco della chiara d’uovo ricordano lo stemma di Perugia – un grifone argenteo su uno scudo scarlatto –, ma soprattutto il sangue versato da Cristo sulla croce e la luce della Resurrezione. E il riferimento alla rinascita della Pasqua è racchiuso anche nel nome, un’evoluzione di ‘ciarapica’, termine del dialetto perugino che indica la cinciallegra, l’uccellino che con il suo canto allieta le giornate primaverili ed estive.
Questo dolce rappresenta i cinque rioni di Perugia di Porta Sole, Porta Sant’Angelo, Porta Susanna, Porta Eburnea e Porta San Pietro.
Rosso come il rione di Porta S. Angelo dalla cui porta entrava la legna per i fuochi.
Bianco come il rione di Porta Sole dove l’astro si specchiava tra i marmi e i travertini della Terra Vecchia.
Blu come il rione di Porta Susanna la cui porta conduce all’azzurro del lago perugino lungo la via Trasimena.
Verde come il rione di Porta Eburnea teso verso i boschi e le vigne che colmavano la valle ad essa prospiciente.
Giallo come il rione di Porta S.Pietro dalla cui porta entrava il biondo grano alimento principe di tutte le tavole.
ETIMOLOGIA
L’etimologia del termine è legato alla parola “ciara” (ossia chiara) come la massa spumosa di albume che la ricopre, per altri invece deriverebbe da “ciarapica”, il termine dialettale per indicare la Cinciallegra, quel piccolo uccello multicolore che con il suo canto preannuncia l’arrivo della bella stagione.
RICETTA
Ingredienti:
500g farina ,
230g zucchero,
150g burro,
4 uova e lasciare 2 albumi x il sopra,
succo e buccia di 1 limone
1/2 bicchiere di latte
1 bicchiere tra rum mistrà e alchermes quest'ultimo in maggiore quantità
2 lievito per dolci
Per la meringa
120g di albumi
320 g di zucchero a velo
Un pizzico di sale
Confettini colorati
Procedimento:
lavorare energicamente le uova con lo zucchero fino a montarle, aggiungere il burro ammorbidito ed amalgamare bene.
Incorporare delicatamente il latte l’alchermes ed il mistrà, la buccia ed il succo del limone. Con l’aiuto di una spatola incorporare la farina dove sono state inserite le due bustine di lievito per dolce.
Versare il composto in una tortiera con il buco e cuocere per 35/40 minuti a 170°.
A cottura ultimata pennellare la superficie con la meringa ottenuta montando a neve gli albumi con lo zucchero a velo ed un pizzico di sale. Cospargere con confettini colorati, far asciugare in forno a 60° per circa 30/40 minuti.
CIARAMIGLIA (umbro-toscana)
La Ciaramiglia, una ricetta scoperta tra testi in volgare in biblioteca, raccontata dagli anziani della Valtiberina, dove ancora nella memoria di alcuni c'è il profumo e il sapore di un tempo passato. Un dolce tipico, una ricetta pasquale antica caratterizzata da un liquore, il mistrà, tipico marchigiano e laziale aromatizzato con l'anice.
E’ un dolce asciutto che, a fine colazione, viene mangiato sorseggiando del Vinsanto, il tipico vino passito che si produce anche in Valtiberina.
I ngredienti
6 uova
300 gr zucchero
500 gr farina 0
1 bustina di lievito per dolci
150 gr. di burro
15 gr. semi di anice
Liquore all’anice o mistrà (mezzo bicchiere circa)
Procedimento
La ciaramiglia si prepara mescolando le uova con lo zucchero, semi di anice, liquore all’anice e la farina. Nell’impasto va anche aggiunto il burro fuso e la bustina di lievito.
L’impasto così ottenuto si lavora a mano sulla tavola di legno e poi si mette in un tegame e si inforna (in forno statico a 180°) fino a che l’interno – facendo la prova con uno stecchino di legno – non risulterà asciutto.
A quel punto si lascia intiepidire un po’ il dolce e lo si spennella in superficie con dell’uovo sbattuto insieme a del liquore all’anice e cospargendo con zucchero e confettini colorati, rimettendolo poi nel forno tiepido per permettere a questa glassatura di solidificare.
BISCOTTI QUARESIMALI (centro-sud Toscana)
Tra storia e leggenda
A forma di lettera dell’alfabeto, rendono questo dolcetto adatto a chi osserva le regole della Quaresima, ma anche agli intolleranti al lattosio e a chi vuole restare in forma o è a dieta in Toscana, e non solo, sono conosciuti come Quaresimali. Pochi, sani e genuini ingredienti.
Diffusi soprattutto tra Firenze e Prato ma giunti in tempi ormai lontani anche in alcune zone della Valtiberina, questi dolcetti a base di cacao e farina vengono realizzati nel periodo della Quaresima, ovvero dal mercoledì delle Ceneri fino al Giovedì Santo. Molte sono le storie legate alla loro origine: una delle più famose, attribuisce l’invenzione dei quaresimali a delle monache di un convento tra Firenze e Prato durante il XIX secolo. La scelta di realizzarli a forma di lettera dell’alfabeto sarebbe stato un modo per onorare le parole del Vangelo (che in greco significa appunto “buona novella”, “lieta notizia”).
Di parere diverso, il fronte che attribuisce la paternità di questi dolci alla fabbrica dolciaria Digerini Marinai, attiva a Firenze nei primi del ‘900 che li “brevettó” per il periodo di austerità alimentare che precede la Pasqua. I Quaresimali, infatti, non contengono burro, poiché i grassi animali erano vietati durante la Quaresima, in rispetto dei giorni di digiuno che Gesù osservò nel deserto. La storia narra che inizialmente la produzione era riservata alle famiglie nobili di Firenze e all’Arcivescovado, ma negli anni i Quaresimali sono diventati i biscotti tradizionali per tutti nel periodo prepasquale. Quando la fabbrica chiuse, la tradizione fu proseguita da un’addetta alla confezione di questi biscotti e da suo marito, Dante Scapigliati, nel loro biscottificio.
La Ricetta Tradizionale
I ngredienti
3 albumi montati a neve
150g di farina
30 g di cacao
170g di zucchero a velo
1 scorza d’arancia
sale q.b.
Procedimento
Mescolare la farina, il cacao, lo zucchero e un pizzico di sale. Grattugiare nel composto ottenuto la scorza d’arancia. Unire poi i tre albumi montati a neve, continuando a mescolare il tutto. Qualora l’impasto risultasse troppo liquido, aggiungere altra farina, oppure un altro albume se eccessivamente duro.
Con il sac à poche (una volta si usava il cucchiaio) o degli stampini per creare le lettere, dare all’impasto la forma di piccole lettere e disporle su una teglia ricoperta di carta forno.
Cuocere in forno caldo a 150°C per circa 15 minuti.
CHIOCCIA DOLCE CON UOVO BENEDETTO
La chioccia dolce con uovo benedetto o anche scarcella o scarsella (in altre regioni del centro Italia) è un grosso biscotto di pasta frolla con l’uovo con il guscio (possibilmente benedetto) con ingredienti semplici e genuini a km 0 (farina, olio e uova).
Si prepara durante la settimana Santa o nella settimana precedente e secondo la tradizione il dolce simboleggia la liberazione dal peccato originale e pare che il suo nome derivi dal fatto che per mangiare questo grande biscotto è necessario “scarcerare” le uova sode intrappolate in strisce incrociate di impasto: da qui scarcella.
La sua forma può variare: spesso si modella una colomba, che è uno dei simboli della Santa Pasqua in quanto rappresenta la nascita di una nuova vita con un forte richiamo religioso alla Resurrezione di Cristo, ma può anche assumere le sembianze di chioccia, gallina, pulcino, coniglietto, cestino, cuore, ciambella, agnello etc. La si decora con un uovo fissato alla base con due strisce incrociate di impasto e confettini o codette multicolore.
Si pensava che questo dolce fosse di buon augurio e che l’uovo contenuto in essa, fosse simbolo di fecondità. A Pasquetta, poi, quando ci si riversava nei campi a mangiare e a festeggiare, si diceva che si andava a “rompere la scarsella”.
Si rompeva per mangiarla, ma visto che l’uovo rappresentava la fecondità…era un detto rivolto più che altro alle bambine cresciute e in età da marito.
I ngredienti
1/2 kg di farina
3 uova
5 cucchiai di olio extravergine di oliva
un bicchiere di latte tiepido
150 gr di zucchero
scorza di 1 limone grattugiata
mezza bustina di lievito in polvere
Procedimento
Mescolate la farina e il lievito, formate una fontana poggiata su un tavolo, aggiungete lo zucchero e la scorza di limone.
Ponete al centro l’olio, l’uovo e un po’di latte caldo.
Impastate fino a ottenere una pasta liscia e morbida, in caso, aggiungete altro latte. Date al dolce la forma che preferite, ma non dimenticate l’uovo con il guscio, al centro tenuto da 2 strisce incrociate di pasta.
Spennellate con latte e decorare con confettini o codette colorate. Mettete in forno preriscaldato a 180 ° e cuocete per 35 minuti circa, finché la superficie non sarà dorata.
TIRAMISU’ PASQUALE
Etimologia della parola Tiramisù: sollevami, rinforza il mio corpo. Deriva del dialetto trevigiano “Tireme su”, italianizzato in Tiramisù negli ultimi decenni del secolo scorso.
La memoria storica della “Gioiosa Marca” ricorda che il Tiramisù nasce a Treviso nella seconda metà del Settecento / Ottocento.
Una tradizione locale verbale ci ha tramandato che il nostro dolce sarebbe stato ideato da una geniale “maitresse” di una casa di piacere ubicata in centro storico a Treviso.
La “Siora” padrona del locale avrebbe ideato questo dolce afrodisiaco e corroborante per offrirlo ai suoi clienti alla fine delle serate allo scopo di rinvigorirli e risolvere i problemi connessi ai doveri coniugali al momento del loro rientro in famiglia.
Si narra che nel locale, quando gli uomini scendevano le scale un po’ provati, un’avvenente maitresse preparava questo dolce e li ammoniva in codesto modo: “desso ve tiro su mi “. Da qui origine del nome.
Nel corso dei secoli, un velo di pruderie e di vergogna popolare ha nascosto la vera origine del Tiramisù. Difatti non viene ricordato nei libri fino alla caduta del conformismo legato al perbenismo storico avvenuto nella seconda metà del ‘900.
Testimonianza della presenza di questo dolce, nei secoli scorsi, sui tavoli imbanditi delle case delle famiglie umbre, sono le nonne e bisnonne ultraottantenni. Queste signore ci raccontano che preparavano con arte e passione questo dessert per famiglia e amici, ben prima degli anni 1950 in particolare per i giorni di maggior festa.
RICETTA
Ingredienti:
mascarpone:500g
biscotti pavesini o savoiardi : una confezione
cacao:qb
caffè:300g
vecchia romagna: un bicchierino
uova:4 (medie)
zucchero:100g
Procedimento:
separare gli albumi dai tuorli montare i tuorli con metà dose di zucchero poi una volta fatta una specie di crema aggiungere il mascarpone un po’ alla volta una volta fatto la crema la lasciamo riposare mentre prepariamo gli albumi aggiungere il restante zucchero una volta montato aggiungere il composto al mascarpone mascarpone facendo attenzione che il composto non si smonti una volta miscelato, prendere una teglia e aggiungere un sottile strato del composto ottenuto poi prendere i pavesini bagnati nel caffè e vecchia Romagna e adagiare sulla crema fare cosi con tutti i pavesini fino ad ottenere 3 strati poi ricoprire con la crema avanzata e spolverare con il cacao lasciare riposare in frigo per 2 ore minimo e pronto il vostro tiramisù
LA PASTIERA NAPOLETANA
ORIGINI
La ricchezza degli ingredienti e la complessità dei gusti sembrano richiamare la cucina di corte. Ma l’incredibile affonda le sue radici nel mito. E dobbiamo fare un salto indietro fino all’epoca romana o forse addirittura greca. Quando, secondo la leggenda, la sirena Partenope aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli, da dove si spandeva la sua voce melodiosa e dolcissima. Per ringraziarla si celebrava un misterioso culto, durante il quale la popolazione portava alla sirena sette doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a simboleggiare la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio (o di altri agrumi, visto che la diffusione delle arance in quell’epoca era molto limitato in Europa: fatto, tra l’altro, che suscita non pochi dubbi sulla reale fondatezza storica della leggenda…), profumo della terra campana; le spezie, omaggio di tutti i popoli; e lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena. Partenope gradì i doni, ma li mescolò creando questo dolce unico.
Solo una leggenda, certo. Ma è sicuro che, per celebrare il ritorno della primavera, le sacerdotesse di Cerere portassero in processione l’uovo, simbolo della vita nascente poi diventato “rinascita” e Resurrezione con il cristianesimo. Il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare invece dal pane di farro delle nozze romane, dette per questo “confarreatio”. Un’altra ipotesi fa invece risalire la pastiera alle focacce rituali dell’epoca di Costantino, derivati dall’offerta di latte e miele che i catecumeni ricevevano durante il battesimo nella notte di Pasqua.
A San Gregorio Armeno
Antenate piuttosto incerte, però, del dolce che noi conosciamo. Che, con ogni probabilità, nacque molto più tardi: nel XVI secolo. In un convento, come la maggior parte dei dolci napoletani. Probabilmente, quello di San Gregorio Armeno: un’ignota suora volle preparare un dolce in grado di associare il simbolismo cristianizzato di ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Quel che è certo è che le suore del convento di San Gregorio Armeno erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città. “Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni – racconta la scrittrice e gastronoma Loredana Limone – dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore”. Si dice che perfino l’ombrosa regina Maria Teresa D’Austria, “la Regina che non ride mai”, consorte del goloso “re bomba” Ferdinando II di Borbone, si fosse lasciata sfuggire un sorriso dopo un morso alla beneamata pastiera. “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”, commentò Ferdinando.
Per La Pasta Frolla:
250g di farina 00
100g di zucchero
100g di burro
1 uovo
1 pizzico di sale
Per Il Ripieno
200 g di grano cotto
150 g di latte intero
2 cucchiai di burro
200 g di ricotta
150 g di zucchero semolato
1 fialette di aroma fiori di arancio
3 ova
buccia di un limone
50 g di canditi
1 bustina di vanillina
cannella
Procedimento
PER LA FARCIA ( crema di grano precotto)
Mettete il grano cotto, il latte intero, 1 cucchiaino di burro e 25 g di zucchero in un padella antiaderente e cucinate il tutto per 15 minuti, a fuoco moderato. Mescolate spesso con una frusta a mano, per evitare che il composto si attacchi. Una volta pronta, avrà l’aspetto di una crema. Lasciate raffreddare completamente.
PER LA PASTA FROLLA
In una ciotola capiente, mettete la farina setacciata a fontana. Poi aggiungete lo zucchero, il pizzico di sale, il burro a pezzetti e l’uovo. Lavorate il composto prima con una forchetta, poi impastate con le mani fino ad ottenere composto liscio ed omogeneo. Formate una palla, avvolgerla con la pellicola trasparente e ponete in frigorifero per 1 ora.
Dividete i tuorli dagli albumi e montate gli albumi a neve non troppo ferma.
Passate la ricotta al setaccio e mettetela in una ciotola capiente insieme ai 125 g di zucchero rimanenti e ad 1 cucchiaino di burro. Mescolate il tutto e aggiungete anche i tuorli d’uovo. Frullate brevemente con le fruste elettriche.
Unite anche la crema di grano precotto (preparata precedentemente), la scorza di limone, l’aroma di fiori d’arancio, una spolverata leggera di cannella e la vanillina. Frullate ancora per qualche minuto.
In ultimo, aggiungete il cedro e l’arancia candita e gli albumi montati a neve. Amalgamate delicatamente a mano, aiutandovi con un cucchiaio di legno o una spatola, in modo da non smontarli.
Accendete il forno statico a 170°C
Imburrate uno stampo da 24 cm. Spolverate il piano di lavoro di farina e lavorate 3/4 della pasta frolla, tenendo un po’ per le strisce sulla superficie
Stendete la pasta frolla su un foglio di carta da forno leggermente infarinato, e trasferite la frolla sopra lo stampo per pastiera, fate aderire bene ed eliminate la frolla in eccesso.
Versate il ripieno all’interno e con la rimanente pasta frolla formate le strisce da disporre sulla superficie.
Infornate nel forno statico preriscaldato 170°C per 1 ora e 20 minuti. La cottura della pastiera è piuttosto lunga, in modo che sia la frolla che il ripieno siano perfetti. Dopo l’ora controllate con il vostro forno, in modo che non diventi troppo dorata.
LA COLOMBA PASQUALE
ORIGINI
Tra i dolci pasquali, pochi hanno la potenza simbolica dell’inconfondibile colomba. Per la sua forma, ovvio, simbolo di pace e di amore, che si affianca a quell’uovo che rappresenta invece la Resurrezione. Ma anche per quella semplicità dell’impasto e quella sentimentale dolcezza della glassa di mandorle, che non scivola mai verso il “peccaminoso” (in realtà, ritenuto tale a torto) cioccolato. Ma forse attorno a pochi dolci sono fiorite tante leggende quante attorno alla nostra colomba pasquale. Forse per nascondere un’origine, in realtà, assai meno nobile?
San Colombano e la regina Teodolinda
Secondo la tradizione, la colomba pasquale è un dolce lombardo. È lì che sono ambientate tutte le leggende che ne parlano. Per la prima occorre volare a Pavia. Si narra che, attorno al 610, in quella che era la capitale dei Longobardi la regina Teodolinda avesse ospitato un gruppo di pellegrini irlandesi, guidati da San Colombano. La sovrana offrì agli ospiti cani di selvaggina e ricche libagioni, ma il santo declinò perché era periodo di Quaresima. Teodolinda e il marito Agilulfo interpretarono il rifiuto come un’offesa personale e fu allora che Colombano, benedicendo la selvaggina, la trasformò in bianche colombe di pane.
LA RICETTA
Ingredienti:
Tre uova
150g di zucchero
Arancia
Limone
Fiala di aroma alle mandorle
90g di olio di semi di girasole
170g di latte
350g di farina
1 bustina di lievito (pizzaiolo)
Gocce di cioccolato
Stampo colomba
Granella di zucchero
Mandorle
Procedimento
Separare i tuorli dagli albumi delle tre uova.
Montiamo gli albumi a neve e lasciamoli da parte.
Ai tuorli aggiungiamo 150g di zucchero, grattiamo la buccia dell’arancia e del limone. Aggiungiamo la fiala di aroma alla mandorla. MESCOLIAMO.
Aggiungiamo 90g di olio di semi di girasole,170g di latte e 350g di farina (aggiunta un po’ alla volta). Quando avremo mescolato bene l’impasto, aggiungiamo una bustina di lievito (consiglio quello PIZZAIOLO).
A piacere aggiungiamo le gocce di cioccolato.
Uniamo gli albumi e continuiamo a mescolare con una spatola. Versiamo l’impasto in uno stampo per colomba. Aggiungiamo sopra un po’ di granella di zucchero e mandorle.
Cuocere in forno a 180 gradi per circa 40 minuti.
STRUFFOLI NAPOLETANI
Sebbene gli struffoli siano i dolci più napoletani che ci siano, a pari merito con la sfogliatella e la celebre pastiera, e il noto babà, pare che siano giunti nel Golfo di Napoli tramite i Greci da cui deriverebbe il nome “struffolo”: precisamente dalla parola “strongoulos”, ovvero arrotondato. Secondo altri, invece, pare che la parola struffolo derivi da “strofinare” facendo riferimento al gesto che compie chi lavora la pasta, per arrotolarla a cilindro prima di tagliarla in palline. C’è anche chi ritiene invece che lo struffolo si chiami così perché “strofina” ossia “solletica” il palato per la sua bontà e chi, addirittura, pensa che la radice del termine “struffoli” sia da collegare allo strutto con cui anticamente venivano fatti e in cui venivano fritti.
Si tratta di un dolce tipico della tradizione napoletana costituito da numerose palline di pasta “morbidamente croccante”, fatte con farina, uova, zucchero, burro ed aromi; fritte in olio bollente o strutto e, una volta raffreddate “avvolte” dal miele e “assemblate” a forma di ciambella o di “piramide”. Si decorano con frutta candita, e confettini argentati e zuccherini variopinti.
Uno degli elementi più importanti è il miele: che dev’essere abbondante. Senza di lui, un dolce non può definirsi veramente tale. Come simbolo della Dolcezza, il miele è un Mito: i Gemelli Indiani Ashvin, messaggeri degli Dei, mangiano miele nel cielo mattutino, e la Bibbia racconta come Sansone estraesse dall’interno del leone da lui ucciso un favo d’api e di miele. La cosa lo mise di buon umore, tanto da spingerlo a formulare un indovinello: “dal divoratore è uscito il cibo, dal forte è uscito il dolce” (Giudici, 14). Morale: dalla morte nasce la vita. A proposito di nascita, il corpicino del Bambino Gesù viene definito “roccia che dà miele”. E la simbologia della rinascita per alcune famiglie napoletane lega questo dolce anche alla Pasqua
Ingredienti: Farina 500 g,
Zucchero 200 g,
Miele 200 g,
Un cucchiaio di burro,
4 uova intere,
1 bicchierino di anice,
1 cucchiaino di cannella e 1 di vaniglia,
La scorza di un limone grattugiato
Per guarnire:
ciliegie,
arancia cedro e zucca canditi,
zuccherini variopinti,
confettini argentati
Procedimento
In una terrina amalgamate la farina, lo zucchero, il burro ammorbidito, le uova, il limone grattugiato, il bicchierino di anice, la vaniglia e la cannella. Trasferite il tutto sul piano di lavoro e impastate per bene. Con l’impasto ottenuto fare dei “filoncini” spessi un dito e tagliarli a tocchettini come si fa per gli gnocchi. Friggere i piccoli pezzi di pasta così ricavati in olio bollente e metterli da parte su carta assorbente in modo da eliminare l’unto in eccesso. Scaldate, in un tegame ampio, il miele e versarvi gli struffoli, girandoli bene fino a quando risulteranno lucidi e perfettamente impastati con il miele.
A questo punto, versateli subito in un piatto da portata dando una forma di ciambella al cui centro metterete un’arancia fino a quando si saranno raffreddati in modo da mantenere in “buco” centrale. (o, se preferite, di “piramide” simile ai profitteroles). Una volta raffreddati, decorate con i canditi tagliati a pezzetti, zuccherini colorati (diavolilli) confettini argentati, e le ciliegie intere.
CREMA CATALANA
La storia della crema catalana
La tradizione spagnola vuole che questo dolce sia servito il 19 marzo, alla festa di San Giuseppe, motivo per cui uno dei nomi della crema catalana è anche crema de Sant Josep.
Essendo un dolce molto semplice, con ingredienti che si trovavano un po’ in tutta Europa, chiarire chi effettivamente abbia creato la crema catalana è uno dei dilemmi maggiori della storia della pasticceria. I catalani, però, non hanno dubbi: la si trova citata in alcuni ricettari medievali scritti in catalano, come il Llibre de Sent Sovì o il Llibre del Coch.
Ancora più interessante è la leggenda legata alla crema catalana. Si dice infatti che un vescovo spagnolo andò in visita, per la Benedizione Pasquale, ad un convento di monache che, per omaggiarlo, prepararono un budino, il quale però risultò troppo liquido.
Per compensare decisero di aggiungere dello zucchero e caramellizzarlo, ma quando il vescovo lo assaggiò non poté fare a meno di gridare “crema!” che in catalano significa anche “brucia!” Da qui nasce anche un altro nome: la crema cremada!
RICETTA
Ingredienti per 6 cocotte di crema catalana:
4 tuorli
90 g zucchero
25 g amido di mais
500 ml latte
spezie (cannella, zenzero, noce moscata)
scorza di limone o mandarino
per caramellare
zucchero di canna
Procedimento:
Montate i tuorli con lo zucchero. Sciogliete l’amido in un po’ di latte e unitelo alle uova, mescolate per amalgamare il tutto. Mettete il resto del latte sul fuoco, unite le scorze agrumate per insaporire e lasciate scaldare fino a iniziata bollitura. Unite una parte del latte al composto di uova, poi riportate tutto sul fuoco e fate cuocere mescolando fino a che la crema si addensi. Versate la crema nelle cocotte e mettete in frigo a raffreddare per almeno 4 ore.
Al momento di servire versate due cucchiaini di zucchero di canna sulla superficie della crema e caramellate e per creare la deliziosa crosticina caratteristica della crema catalana. Fate questo passaggio solamente se mangiate immediatamente la crema, altrimenti si scioglie e diventa liquido.
LE UOVA DI CIOCCOLATO
Le origini dell’uovo di cioccolato sono da ricondurre al re Sole, Luigi XIV. Fu lui che per primo, a inizio Settecento, fece realizzare un uovo di crema di cacao al suo chocolatier di corte. L'usanza di regalare le uova a Pasqua
La scelta di regalare un proprio uovo non è casuale. Fin dall'antichità questo alimento ha ricoperto un valore simbolico enorme. In alcune culture Terra e Cielo, unendosi, formavano proprio un uovo, simbolo di vita. Per gli antichi Egizi l'uovo era invece l'origine di tutto e il fulcro dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco). Siccome in Primavera la natura risorge, i Persiani amavano poi regalarsi proprio delle uova, simbolo di nuova vita.
RITO CRISTIANO. Il cristianesimo affianca queste tradizioni e le reinterpreta alla luce delle Nuove Scritture. L'uovo diventa così il simbolo che meglio coglie il significato del miracolo della Resurrezione di Cristo.
L'usanza di regalarsi uova si diffonde a partire dal Medioevo, in Germania. Qui tra la gente comune la consuetudine era distribuire uova bollite, avvolte in foglie e fiori in modo che si colorassero naturalmente. Tra i nobili e gli aristocratici invece si diffuse l'abitudine di fabbricarne alcune di argento, platino o oro, decorate.
Ingredienti
1 kg cioccolato fondente amaro
1 stampo per fare l'uovo: di metallo o di plastica o di silicone
sorpresa da mettere dentro
Procedimento
Sciogliere a bagnomaria il cioccolato e, quando si è ben sciolto, lavorarlo bene in modo da avere una crema liscia e omogenea
Pulire lo stampo con l’alcool e asciugare perfettamente. Versare, il cioccolato nello stampo fino a raggiungere quasi la sua metà. Distribuire uniformemente, ruotando lo stampo, facendo in modo che il cioccolato ricopra perfettamente tutta la sua superficie.
Colare il cioccolato in eccesso e fare rapprendere a temperatura ambiente. Rifare questa stessa operazione ricoprendo l'altro stampo. Quando il cioccolato si è indurito, versare nei due stampi il cioccolato rimasto. Se si è raffreddato diventando poco scorrevole, risciogliere a bagnomaria ripetendo poi esattamente quanto fatto prima.
Staccare i gusci dagli stampi infilandosi con la lama di una spatola fra il metallo ed il cioccolato, sigillare i due gusci fra loro con del cioccolato fuso.
Decorare la superficie con ghiaccia reale
Комментарии